Sento Margherita piangere, ma non ho voglia di muovermi per andarla a cercare. Nella casa buia, la luce livida di questa ennesima eterna giornata illumina i resti dell’altra vita: quella di “prima della salita dell’acqua”.
Strizzo gli occhi per sbirciare, attraverso i vetri incrinati e offuscati dalle gocce di salsedine, lo scenario che conosco bene. Osservo l’acqua, adesso color verde intenso, che quel giorno mugghiava infuriata e opaca di fango, mentre noi guardavamo – impotenti e nostro malgrado affascinati dal terrore – lo spettacolo che eravamo certi stesse per ucciderci.
Il desiderio di uscire e scendere sulla riva mi formicola sotto pelle, ma ho paura.
Margherita piange: avrà fame, o sete. Si sarà pisciata o cacata addosso, o semplicemente avrà voglia di frignare o capricciare, come fanno tutti i “piccoli alien”. Non mi piacciono i bambini. Non ricordo mi siano mai piaciuti, nemmeno quand’ero bambina pure io. Concorrenza sleale, sempre pronta a gareggiare per una coccola o un sorriso, vulnerabilmente concentrata su di sé. Li guardavo, con la diffidenza di chi non capisce, tenendomene alla larga. Ma ora mi trovo qui, con questo piccolo mostro, così carino, che non mi dà tregua. E non posso ignorarlo: devo dimenticarmi di me e occuparmi di lei. Trovarla e portarla di sopra, prima che l’acqua ricominci a salire.
“Sie ore a cresse, sie ore a caea”
“Sie ore a cresse, sie ore a caea”
Deglutisco a fatica. E’ il bisogno di bere che mi spinge ad alzarmi, anche se non ne ho voglia. La casa è buia, ma la conosco così bene che mi ci muovo con sicurezza. Cerco a tentoni la candela e i fiammiferi, rimpiangendo gli accendini, ormai introvabili. Sfrego il fiammifero umido sulla striscia ruvida della scatola, trattenendo il fiato e sperando si accenda. Quando dalla capocchia si sprigiona la fiammella luccicante sospiro e accendo la candela, poi comincio a scendere le scale con circospezione, saggiando con la punta del piede gli scalini sbrecciati, prima di poggiarvi il peso.
Margherita continua a frignare.
“Sie ore a cresse, sie ore a caea”
Si diceva così a Venezia, una volta: quando alla salita seguiva la discesa.
Ma era prima. Prima che l’acqua si portasse via i ricordi.
Margherita non ne ha, di ricordi, forse solo qualche ombra. Il suo pianto è concreto, mosso dalla fame, dal freddo, dal bisogno. Io, invece, sono ricca di memoria e povera di sentimenti. Occuparmi di lei è uno sforzo costante, un lavoro che mi ordino di eseguire, attendendo che ciò che deve accadere accada.
“Sie ore a cresse, sie ore a caea”
Forse non calerà.
L’Atelier di scrittura inizia a sfornare bellissimi lavori..non avevo nessun dubbio sulla tua abilità nello scrivere. A parte tutto, e’ un racconto che prende la pancia. Bello e basta.
B