Le elezioni USA si vincono grazie a un accurato lavoro sul Personal Branding. Lo abbiamo visto con Obama e oggi siamo qui a ragionare su:
Come cavolo ha fatto quel cafone di Trump a vincere le elezioni?
Questa è la domanda del giorno, che alcuni di noi, ancora sotto choc, si pongono. Gli analisti adesso stanno commentando una vittoria che i Simpson avevano predetto nel 2000, in un cartone animato in cui Lisa Simpson, divenuta Presidente, doveva rimediare ai danni del suo predecessore, che – guarda caso – era proprio Trump.
Quando si dice il meraviglioso realismo della fantasia!
Leggi qui il contributo di Davide Dal Maso e Alberto Nalin su questo tema https://www.linkedin.com/pulse/il-marketing-di-trump-vince-contro-la-pubblicità-della-dal-maso
Mentre la pagina web del sito ufficiale dell’immigrazione canadese va in crash e su Twitter si ironizza sul fuggifuggi dagli USA verso il vicino Canada, la rete è in fermento e io mi consolo cercando di comprendere perché, fino all’ultimo, ho sperato che Trump perdesse.
Questo è il punto.
Come tanti altri non speravo che Hillary Clinton vincesse, ma che battesse il suo avversario. Dopo il primo attimo di incredulo sgomento ho quindi deciso di analizzare perché, dal punto di vista dei “contenuti” e del “personal branding” si trattasse della cronaca di una sconfitta annunciata.
Cosa è conveniente mettere in funzione per raggiungere le persone con il tuo messaggio?
Di seguito considero 4 elementi chiave:
- Le Emozioni.
- La Narrazione.
- L’Identificazione.
- Il Personal Branding.
Sul fronte delle Emozioni:
il Guascone batte l’Algida
Donald Trump è un terribile, orrendo, volgare guascone.
Ispira disgusto, avversione, rabbia, oppure suscita ammirazione e desiderio di imitarlo. Ricorda i nostri leghisti che urlavano “in culo a Roma ladrona” e in effetti hanno avuto un notevole seguito.
Si aggancia ai sentimenti negativi e alle emozioni pure delle persone, quelle in cui non si ragiona con il lobo prefrontale, ma si fa agire il buon vecchio rettile che da millenni ci preserva dalle minacce e ci fa perpetuare la specie: quell’antico sauro per il quale vige la semplice regola “tu mi dai un pugno, io ti do un pugno”.
Insomma in lui non c’è nulla di tiepido.
Hillary Clinton invece è algida, controllata, calcolatrice.
E’ donna, ma sta antipatica pure alle donne, perché quando becca il consorte con la Lewinsky, abbozza.
Sicuramente reagisce nel modo migliore per mantenere il controllo, ma il controllo – si sa – è il contrario del piacere.
La buona vecchia Medea, se si fosse trovata al posto di Hillary, lo avrebbe sterminato in un bagno di sangue, maledicendo lui e la sua progenie: forse poco efficace a fini politici, ma di grande effetto scenico e gli umani amano il conflitto.
Hillary Clinton ha avuto il suo spannung epico e ha scelto di non giocarselo.
“Vogliono una donna presidente, ma non questa donna”, osservava prima del voto la sondaggista Ann Selzer.
Così è stato.
Sul fronte della Narrazione:
l’Epopea batte la Logica
Senza conflitto non c’è letteratura.
Alla base di una buona storia c’è la tensione narrativa.
Come insegnano le più elementari regole dello storytelling, per avvincere il tuo pubblico ti servono un eroe, un nemico, un doloroso problema e una brillante soluzione.
Trump saccheggia a man bassa l’immaginario collettivo della piccola america razzista, bigotta, omofoba e anticomunista e lo rende suo.
Rispolvera l’epopea dei pionieri al grido di “make America great again” e in quell’avverbio concentra i più potenti simboli dell’aggregazione: l’orgoglio e l’appartenenza, senza contare che si fa aiutare da allitterazioni e consonanze.
A sostenerlo sullo sfondo appare John Wayne, che pure se ammazzava i pellerossa ci è stato simpatico a tutti, almeno fino a quando sono arrivati Dustin Hoffman e Kevin Costner.
“Torniamo a essere uniti” è una delle sue frasi geniali, che fa trasparire la necessità di ristabilire qualcosa che si è perso.
“Torniamo”.
Tornare a un non meglio identificato “prima”, in cui ciascuno può infilarci i fantasmi preferiti: dai cosacchi mangiabambini, ai barbuti incappucciati e imbottiti di tritolo, alle famiglie gay.
Hillary Clinton parla invece la voce della logica e vanta la coerenza di una carriera impegnata e lineare, ma sempre in stretta connessione con il potere.
Di conseguenza l’elettorato segue Trump che gli ricorda “L’establishment vi ha tradito”.
I migliori fatti se non sono narrati con parole chiare e luminose non arrivano al cuore del pubblico e, mentre Trump coltiva il suo brand, Clinton si concentra sulla logica delle azioni.
Sul fronte dell’Identificazione:
il Normale Cialtrone batte la Perfettina
Trump è pieno di difetti: non si è fatto da solo, ma ha ereditato denaro e potere dal padre; è un voltagabbana che ci ha provato prima con i democratici, per poi approdare alla destra, comprendendo che avrebbe meglio soddisfatto i suoi obiettivi; i suoi messaggi sono volutamente offensivi, maleducati, sessisti, perché lui sa bene che su questo codice linguistico aggancia gli strati ignoranti della popolazione, che sono la maggioranza.
Fa attrazione alle fasce povere e prive di diritti, additando loro un nemico comune “l’establishment”; li ispira all’odio e alla divisione, gridando “restiamo uniti”.
Pronuncia parole che dividono, parole pericolose, ma potenti.
Sa il fatto suo e costruisce un brand di spessore.
Hillary Clinton, che invece si è sempre battuta per i diritti, dai giovani detenuti alle madri single, ai bambini disabili, lo ha però sempre fatto da una posizione di potere e privilegio.
Lei parla la lingua dei radical chic, che non convince il sottoproletariato urbano.
Le logiche del networking insegnano che per ispirare le persone è opportuno che tu ti ponga al loro livello: non sopra, né sotto, non troppo bravo, né totalmente inetto, ma sufficientemente incazzato e passionale da trascinare gli altri, agganciando la loro paura, la loro rabbia, il loro dolore.
Le personcine perfette dai capelli composti mancano di umanità e gli esseri umani per identificarsi hanno bisogno del sudore e delle lacrime.
Sono passati millenni da quando il rettile ci governava, ma dentro a quella nocciolina interna al cervello, che si chiama amigdala, funzioniamo ancora così e chi sa muovere quelle leve ci può manipolare a piacimento.
Sul fronte del Personal Branding:
il Creatore di Contenuti batte l’Oppositrice
Una storia da raccontare, che susciti emozioni nel pubblico, che ispiri gli altri a seguirti, funziona solo se lavori seriamente sulla tua intima essenza, altrimenti detta “personal branding”.
Hillary Clinton ha impostato la sua comunicazione “in opposizione” e l’opposizione non è che una forma di dipendenza.
Chi si oppone non ha contenuti e valori propri per cui combattere.
Chi si oppone resta agganciato alla comunicazione dell’altro, al suo eloquio, ai suoi argomenti.
Chi si oppone e non propone il Suo Sogno, resta schiavo delle idee degli oppositori e della concorrenza.
Se al tuo progetto non ci credi tu, perché mai gli altri ti dovrebbero seguire?
Donald Trump ci mette forza ed energia:
ti può fare schifo, ma convince e vince.
In fondo in fondo non facevo il tifo per Hillary nemmeno io, solo speravo che Trump perdesse.
Avevo dimenticato che quando si combatte è opportuno farlo “per qualcosa che mi sta a cuore”, anziché “contro qualcos’altro”.
No #BellaStoria No CasaBianca
Eppure non ci vedrò mai una strategia dietro LOL
Tutto giusto comunque, lo ho pensato anche io in questi giorni, ma cristo dio, faccio fatica a credere che la gente sia così stupida da vendersi così pur di salire sul carro dei vincitori sentendosi uguali a lui…
E’ lì la chiave, quanti vorrebbero poter ruttare (esempio non distante dal reale) durante un comizio facendo ridere tutti ? Tutti, ma non facendo politica io almeno…
Gli altri boh…