Luoghi della memoria
#LaBellaStoria
Ricordo la casa con il salotto sempre in penombra, con le “rotolande” (la zia Bettina le persiane le chiamava così) abbassate, perché era la stanza dove non si entrava quasi mai e nemmeno ricordo da dove vi si accedesse, ma ho viva nella mente l’immagine dei divanetti con i piedini (in veneto “i pécoi”) a forma di zampette di leone e la tappezzeria a foglie verdi su fondo avorio, fissata da borchiette a testa lucida e tonda, su un gros grain di passamaneria verde bottiglia.
Sulle testiere delle poltrone frau di pelle marrone scuro la zia Bettina appoggiava i suoi centrini fatti a rete, dove orge di amorini grassi e veneri danzanti si contendevano cornucopie stracolme di frutti.
Per la zia Bettina i centrini di merletto a filet erano il segno di massima distinzione e raffinatezza, sopravvissute vestigia dei bei tempi andati e della nobiltà decaduta dei suoi avi.
L’aura luminosa dei Mazzocato aleggiava sui poggiatesta e sui centrotavola lavorati al tombolo, perché la zia Bettina ti sapeva raccontare le storie di famiglia con dovizia di particolari e ne faceva scaturire aneddoti succosi, come dalla madeleine di Proust.
Va detto che lei, grande narratrice, era molto più divertente di Proust, avendo a disposizione, negli scandali e nei segreti di famiglia, un ottimo materiale letterario.
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