Fino a ieri ero a letto con la febbre. Ho le gambe malferme, ma mi sforzo di camminare regolare. Se Gianna si accorge che sto male si torna a casa e sono giorni che aspetto di andare al circo.
Il telone di plastica verde e rosso sbatte al vento. Si sente odore di cacca, come in campagna. Passano acrobati fasciati di lamé, pagliacci truccati di bianco, naso rosso e parrucca verde. Strizzo gli occhi cercando di intravvedere qualche animale attraverso le fessure del tendone. Versi esotici. Elefanti? Le scimmie che versi faranno? Ci saranno anche i coccodrilli? E gli ippopotami? Chissà se nel tendone c’è una piscina…
In coda per i biglietti mi nascondo dietro a mia sorella, dondolando da una gamba all’altra. Sono stanca ma resisto. Guardo preoccupata tutta questa gente davanti a noi: non è che magari non c’è abbastanza posto per farci entrare tutti?
Finalmente tengo in mano il mio biglietto: una tigre a fauci spalancate, un leone, nel mezzo un pagliaccio con due giraffe ai lati, sullo sfondo cavalli impennacchiati cavalcati da amazzoni in paillettes. Il clown all’ingresso strappa un lembo del biglietto, per fortuna il leone è rimasto tutto intero, solo una giraffa ha perso un po’ di collo.
La segatura della pista mi pizzica il naso, ma trattengo lo sternuto. Guai se Gianna mi sente. Ci siamo: i nostri posti sono proprio davanti. Luce, brusìo di gente, rumore e musica. Sulla nostra testa una ragazza magra magra vola da un capo all’altro del tendone, penzolando dal trapezio.
Cavalli e pony fanno inchini scuotendo criniere infiocchettate, cani sapienti abbaiano a tempo, zampe d’elefante pesanti come incudini sfiorano i domatori. Ammutolita, me ne sto seduta buona a guardare gli uomini che montano griglie di metallo, il cui clangore echeggia sotto il tendone. I leoni ruggiscono. I pagliacci fanno il giro della pista schizzando lacrime e picchiandosi con grossi martelli gialli di plastica.
Un pagliaccio si avvicina tenendo in braccio un piccolo leone. “Ciao piccola, come ti chiami?” mi chiede, mentre lo guardo incredula. “Lo vuoi accarezzare?” dice indicando il leoncino.
Non riesco a spiccicare parola, deglutisco piano, mi sento la gola secca e ho paura di tossire. Sbircio di sottecchi Gianna e tendo le braccia. Il pagliaccio mi porge il leoncino. Mi tremano le mani: lo appoggio sulle gambe. Pesa. Sbadiglia con la lingua di fuori, proprio come fanno i gatti e mi si accoccola contro.
Sfioro la pelliccia profumata di calore e segatura. Lo gratto piano piano e trattengo il respiro.